Scrittrice camerounense dalla carriera rocambolesca.
Regina dei dialoghi: taglienti, crudi, travolgenti. Con i suoi libri contribuisce a smantellare gli stereotipi che in Francia alimentano la violenza.
Calixthe Beyala cominciò ad essere letta anche in Italia con “Come cucinarsi il marito all’africana“, un piccolo libro, edito da una piccola casa editrice – la Epoché – che sembrò riproporre la formula di “Come l’acqua per il cioccolato” di Laura Esquivel – una ricetta alla fine di ogni capitolo del romanzo e il cibo a fare da ossatura a una storia esotica e di incandescente sensualità – con l’Africa in luogo del Centro America. Venticinque ricette di piatti come il gombo alla paprika o il riso all’africana, l’antilope affumicata ai pistacchi o l’insalata esotica, il coccodrillo alla salsa bongo tchobi o la purea di mango.
Il libro, grazie a un efficace passaparola, si sottrasse presto all’invisibilità del sottobosco della mini-editoria, si conquistò una nicchia di lettori appassionati – quel genere di lettori un po’ fanatici che pur di convertirti alla lettura dei loro beniamini ricorrerebbero a tecniche di persuasione degne di Scientology – e tre o quattro recensioni non banali che garantirono al libro un’insperata vetrina mediatica.
In fondo, Beyala aveva tutto per sfondare anche da noi. Nera, afrofrancese, cinquantenne fascinosa e navigata – pensate a una Angela Bassett di Belleville – femminista polemica e battagliera, attivista contro l’Aids e ogni forma di discriminazione, scrittrice di talento e paladina della francofonia, con qualche piccolo scheletro nell’armadio – un paio di cause per plagio – relazioni extraconiugali da prima pagina, la sua liason dangereuse con il popolarissimo presentatore Michel Drucker raccontata poi in un romanzo a mo’ di vendetta postuma (L’Homme qui m’offrait le ciel). Una vita, quella di Beyala, che sembra sceneggiata da Alice Walker.
Un’infanzia e un’adolescenza in una bidonville del Camerun. Racconta: “Avevo una sorella, nella nostra famiglia non potevano permettersi di mandarci a scuola in due e allora mia sorella mi ha detto: vacci tu, vai a scuola per tutte e due. Si è sacrificata per me. Il diploma che ho ottenuto, lo ho ottenuto per lei. Dopo la maturità mia sorella ha avuto un incidente ed è morta e io ero così arrabbiata e in collera che ho cominciato a scrivere“. Poi la scoperta della Francia e la sua affermazione come scrittrice e personaggio pubblico.
Beyala è stata capace di scrivere 19 libri in 21 anni, riuscendo a tenere sempre alto il valore letterario delle sue opere. Le invidiano la polifonia dei suoi dialoghi – pochi scrittori, e non solo francesi e francofoni, hanno il dono del dialogo brillante di Beyala, crudo e tagliente a volte, altre pirico e travolgente. Altri le invidiano la sua capacità di raccontare con un’acribia quasi scientifica il punto di vista della donna africana perennemente in bilico tra le tradizioni degli antenati e la necessità di integrarsi nei nuovi modelli della società occidentale. Altri le riconoscono il merito di aver contribuito allo smantellamento di tutti quegli stereotipi maschili, femminili, bianchi e neri che alimentano in Francia violenza quotidiana.
Se siete in cerca di un paio di libri per questi ultimi giorni di agosto, “Selvaggi Amori” e “Gli onori perduti” sono perfetti. Soprattutto il primo che racconta Belleville, il quartiere parigino dove ha casa anche Daniel Pennac, che la penna della Beyala trasforma in un’esuberante e speziatissima enclave d’Africa nel cuore di Parigi.
Fonte: La Stampa
Roberto
30 gennaio 2013 at 10:18 am
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