Con Luanda, città enciclopedica, di Edson Chagas, il padiglione angolano ottiene il Leone d’oro. Ma è tutto il continente ben rappresentato da Egitto, Sudafrica, Zimbabwe, Kenya e Costa d’Avorio, ad attrarre l’attenzione e ad arricchire la manifestazione.
La Biennale Arte di Venezia, la più antica e importante manifestazione del settore, compie 55 anni. Sino a oggi il continente africano risultava assente o quasi all’appuntamento internazionale, se si escludono alcune incursioni sporadiche e un solo padiglione nazionale, quello dell’Egitto, collocato ai Giardini insieme ai paesi di più prestigiosa partecipazione.
Nel 2013 finalmente la svolta: ben sei paesi africani sono ufficialmente rappresentati – oltre all’Egitto, Sudafrica, Angola, Zimbabwe, Kenya e Costa d’Avorio arricchiscono il panorama espositivo – e uno di essi, il Sudafrica, opta per un suo spazio fisso all’Arsenale di cui potrà usufruire per vent’anni. E, appena iniziata la vernice, si diffonde la notizia bomba: l’Angola ha vinto il Leone d’oro per il migliore padiglione. Palazzo Cini a Dorsoduro, che ospita l’Angola, viene subito preso d’assalto da giornalisti, fotografi e pubblico colti di sorpresa dal verdetto della giuria.
Questa situazione innovativa contribuisce a innalzare il livello generale della Biennale e a renderne più attuale ed equilibrata la patente di internazionalità che l’ha caratterizzata sin dagli esordi, giungendo però soltanto ora ad ammettere l’esistenza di un panorama postcoloniale degno di attenzione paritaria. Il Palazzo Enciclopedico – come si intitola la 55ma Biennale – rimanda così a una più ampia utopia che racchiuda il sapere nell’orizzonte di un’architettura unica ma aperta alle diversità, senza che un antico universalismo eurocentrico ne centralizzi la struttura.
L’impressione che l’insieme della Biennale offre al visitatore risulta positivamente coerente con il concetto di base da cui nasce il titolo: una rassegna varia e allo stesso tempo inclusiva, volta non alla spettacolarizzazione bensì alla comprensione e anche alla catalogazione.
C’è chi ha parlato di una “musealizzazione” in atto in questa edizione: il processo sembra però inteso in senso positivo, ossia come movimento ove si narri una spedizione attraverso i sentieri della contemporaneità pur tenendo a mente i codici del passato, senza sottintesi né paraventi criptici. I discorsi africani si collocano assai bene nel tutto veneziano e multinazionale, articolando ciascuno una propria individuale unicità e offrendo prospettive vastamente differenziate e non di rado anche molto attraenti.
Fonte: Nigrizia