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L’Africa dice “ora basta” ai nostri rifiuti tecnologici

02 Set

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Videoregistratori, fax e batterie dei telefoni cellulari, ma anche frigoriferi e televisori: sono i nostri rifiuti elettronici, i cosiddetti e-waste, le cui discariche alla periferia di Nairobi e Accra hanno raggiunto dimensioni di aree urbane e che l’Africa non vuole più.

Videoregistratori, fax e batterie dei telefoni cellulari, ma anche frigoriferi e televisori: sono i nostri rifiuti elettronici, i cosiddetti ‘e-waste’, le cui discariche alla periferia di Nairobi e Accra hanno raggiunto dimensioni di aree urbane e che l’Africa non vuole più. Lo hanno ribadito i firmatari della Convenzione di Bamako, riunitisi a fine giugno nella capitale del Mali per dire che il continente non vuole più essere la ‘pattumiera’ di sostanze tossiche e scarti elettronici provenienti, per la maggior parte, da Europa e Nord America. Adottata nel 1991 ed entrata in vigore nel 1998, la Convenzione è stata ratificata da 24 paesi africani che annunciano azioni rigorose per arginare il fenomeno del ‘Digital dump’, vietando l’importazione dei rifiuti elettronici e aumentando il controllo alle frontiere.

Secondo stime recenti, se lo smercio dei prodotti tecnologici nel mondo proseguirà ai ritmi attuali, la spazzatura elettronica passerà dalle 6 milioni di tonnellate attuali a 15 milioni entro il 2025. Un ammasso di immondizia in grado di raggiungere l’altezza di un edificio di 26 piani. In buona parte, questi rifiuti finiscono sul continente nero, come denunciato dal rapporto Unep (United Nations Environmental Programme), secondo cui nel 2009 circa 220.000 tonnellate di ‘e-waste’ provenienti dalla sola Europa sono arrivati, via nave, in Africa Occidentale. In altri casi, componenti e apparecchiature guaste o obsolete per i mercati occidentali, arrivano nei porti della Nigeria o del Kenya sotto forma di donazioni. Peccato che, una volta consegnato, il materiale in questione si riveli al 70% inutilizzabile o, peggio, nocivo per la salute.

“Tutto questo deve finire” è scritto nella dichiarazione siglata a Bamako, in cui i paesi africani si impegnano a integrare la legislazione esistente allo scopo di prevenire il traffico illegale di rifiuti pericolosi; di creare e adottare leggi che rendano i produttori di componenti e apparecchiature elettroniche legalmente responsabili del ritiro delle attrezzature; di prevenire l’importazione nel continente di attrezzature elettroniche usate o non funzionanti.

Per cercare di arginare il fenomeno, l’Unione Europea ha varato lo scorso anno una nuova Direttiva Weee (Waste Electrical and Electronic Equipment) secondo cui ciascun paese membro dovrà impegnarsi a riciclare 45 tonnellate di ‘e-waste’ per ogni 100 tonnellate di prodotti elettronici venduti entro il 2016. Una percentuale che aumenterà fino all’85% entro il 2019. Nell’approvare la nuova legislazione – che dovrà essere ratificata e introdotta nei rispettivi ordinamenti entro il 14 febbraio 2014 – il parlamento Europeo ha esteso la direttiva ai pannelli solari, lampade fluorescenti al mercurio e oggetti contenenti sostanze a significativo potenziale di riduzione dell’ozono. Ma non basta. All’Europa, i paesi africani riuniti a Bamako hanno chiesto anche più impegno nel contrastare il reato di beaching: l’abbandono sulle coste africane di navi cariche di rifiuti. Un fenomeno in mano alle organizzazioni criminali e alimentato, ironia della sorte, dagli alti costi per lo smaltimento di sostanze tossiche, in linea con le norme europee per la tutela dell’ambiente. Il nostro.

Fonte: La Stampa

 
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Pubblicato da su 2 settembre 2013 in Uncategorized

 

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