Da una parte sono esattamente come tutti gli altri giovani del pianeta: lo smartphone è la loro vita e internet un parco giochi. Dall’altra, però, sono nati in Uganda. Amano il loro paese e pensano che sia ricco di opportunità, ma sono frustrati – persino arrabbiati – da tutte le situazioni critiche che osservano. E quindi che fanno, se ne vanno? Assolutamente no. L’Uganda è uno dei paesi più belli al mondo, con costi abbordabili e benedetto da un clima piacevole. L’Africa è la nuova frontiera, il continente che contribuirà a sfornare il prossimo miliardo di consumatori, la fonte di un ottimismo infinito, casa loro. Sono decisi a restare e a darsi da fare, con gli strumenti che conoscono meglio. Potrebbero fare qualsiasi cosa delle loro vite, ma alla fine sono dei “geeks”. Smanettoni informatici con una missione precisa, cittadini del mondo che solo per caso si sono ritrovati a vivere immersi nel verde straordinario delle rive del Lago Vittoria, sull’altro lato rispetto a Kenya e Tanzania, nella città di Kampala.
Slum d’avanguardia. Legittima indignazione, la chiama Solomon King, oppure “depressione costruttiva”. Perché è la rabbia la sua forza motrice: rabbia contro il sistema scolastico troppo teorico, la politica profondamente corrotta, la mediocrità che governa il paese. «Tutti hanno il potere di cambiare il proprio destino, ma in Uganda la maggior parte delle persone crede di non poterci fare nulla. La cultura del controllo qui ha una lunga storia, c’è sempre qualcuno che vuole dirci che cosa è meglio fare». Invece di piangere su questa situazione, Solomon ha scelto di dare l’esempio. Ha molti sogni, per questo dirige svariate società che spaziano dal mondo dei media all’elettronica e al design. È anche scrittore, ma la maggior parte delle persone lo conosce come “il tipo dei robot”. Quando Solomon era bambino, il padre non gli comprava mai giocattoli. Non perché non gli importasse o perché gli mancasse il denaro – si trattava di un contabile e di un papà single. Semplicemente il piccolo King era messo nella condizione di doversene costruire di propri. Tanto che già in quarta elementare tentò di farsi un elicottero, a 14 anni si era fabbricato il suo primo robot. Ora Solomon ha trent’anni ed è il fondatore di Fundi Bots, un’organizzazione che fornisce agli studenti ugandesi l’accesso alle conoscenze e ai componenti necessari per costruire robot: «Vogliamo aprire le loro menti, forzarli a pensare a come mettere in pratica quello che imparano a scuola. Dobbiamo forgiare un piccolo esercito di pensatori che guardino alla tecnologia come a uno strumento per risolvere problemi». La casa che ha preso in affitto, e che serve anche da laboratorio della Fundi Bots, si trova vicina a uno slum, privo di pianificazione urbana e infrastrutture di base: «Molti bambini non giocano più con i loro coetanei perché pareti invalicabili separano le case. Solo quelli delle classi sociali più basse possono ancora girovagare, incontrare nuove persone e costruire i loro giochi».
Le sorelle del sole. Una breve corsa in mototaxi e dal quartier generale di King si arriva a @The Hub, uno straordinario spazio in condivisione dentro a un palazzo rosso brillante con tanto di terrazza. Le Solar Sisters occupano uno degli uffici. La loro organizzazione no profit mira a portare la tecnologia dell’energia solare alle donne delle zone rurali. Dietro a un laptop ricoperto di adesivi colorati siede Evelyn Namara, 29 anni, abbigliamento impeccabile e un’autentica passione per la sua collezione di gioielli. Adora la moda, e se non fosse per l’informatica farebbe la stilista. E ancora: se non fosse per il posto alla società telefonica Orange Uganda, non sarebbe nemmeno diventata fanatica del fitness. In compagnia di un gruppo di colleghi salutisti, decisi a fare qualcosa di meglio, dopo il lavoro, che rimanere incastrati nel traffico dell’ora di punta a Kampala. «La ginnastica ti fa sentire di poter raggiungere ogni volta qualcosa di più», dice Evelyn. Imprenditrice iperambiziosa, in futuro le piacerebbe godersi la vita con la famiglia in un bel posto sul Mediterraneo, ma sempre tenendo l’Uganda come base professionale. A lei piace porsi sempre nuove sfide: «Sono inorridita dagli stereotipi. Dopo la laurea ho incominciato a occuparmi di organizzazione e preparazione di sistemi informatici. Una volta sono andata da un cliente per sistemare un computer, ma quello ha chiamato il mio capo per sapere se una ragazza fosse davvero in grado di farlo. Da allora sfrutto ogni opportunità per aiutare altre a emergere in questo campo».
Computer e penna. Nella via di @The Hub ci sono anche una galleria, una società organizzatrice di festival e un centro massaggi. Dietro l’angolo si trova la strada principale, intasata di minibus bianchi dalle strisce a pallini blu capaci di stipare 14 passeggeri e più. Tutti viaggiano in direzione del centro città, dove si trova anche l’università Makerere, la più grande dell’Uganda. È qui che Joshua Okello, 24 anni, è entrato nel team che ha rappresentato l’Africa nel più importante concorso al mondo per studenti di tecnologie, l’Imagine Cup 2012 di Microsoft, guadagnando con una trovata rivoluzionaria la posizione più alta mai raggiunta da una squadra africana. «Il nostro dispositivo per il controllo prenatale è un’alternativa a costosi doppler fetali e ecografie. L’ostetrica controlla il battito cardiaco del feto tramite smartphone e la nostra app analizza i risultati e l’aiuta nella diagnosi» spiega Joshua, che sogna di cambiare il mondo «con un computer e la penna». Membro del Lantern Meet of Poets, un’associazione che organizza workshop creativi nelle scuole secondarie, è così legato a portatile, telefono e tecno-gadget che gli ha dato un nome (femminile), però quando scrive poesie lo fa su carta. «Insegniamo ai ragazzi a tirar fuori il dolore. La poesia aiuta a diventare più sicuri e anche i risultati scolastici poi sono migliori. Abbiamo persino avuto tredicenni capaci di scrivere versi contro apatia e status quo! Io per esempio amo l’Uganda, ma allo stesso tempo la odio. Ma il dualismo è necessario alla vita: motiva a cambiare».
Jesus fan. Okello frequenta anche Outbox, un centro che si raggiunge a piedi dall’università. Ex ufficio di Google, è disponibile per chiunque sia interessato alla tecnologia. Christine Ampaire, 22 anni, è spesso qui. Su Twitter si definisce «girl-geek, imprenditrice insonne e smanettona, fan di Gesù». La religione è estremamente importante per i giovani ugandesi, ma perché Christine lo sottolinea tanto? «La fede mi fa stare con i piedi per terra, sana di mente», dice. Tiene una copia della Bibbia nel cellulare ovviamente, ma lì dentro è la app MafutaGo la cosa più importante. Premiata alla prima edizione dei Barcelona Premier Mobile Awards, serve ai guidatori per trovare la benzina più economica nei dintorni. Christine era a capo della squadra che l’ha creata, e ora è già impegnata in un nuovo progetto, Myziki, uno store musicale. Il suo progetto a lungo termine è semplice: continuare a elaborare software con la collaborazione di una ventina di persone. «Sarebbe meraviglioso se fosse una squadra al femminile», precisa. «Vorrei sfidare il modo di pensare della gente. Possiamo cambiare il continente con la tecnologia. Per esempio, accedere al sistema bancario tramite cellulare ha già avuto un impatto enorme nei villaggi, e potremmo usare programmi simili per fare la differenza anche nella scuola».
Dalla parte delle ragazze. Accanto a Christine c’è Maureen Agena, 28 anni, che con lei ha fondato GirlGeekKampala per avviare un centro dove insegnare a usare il computer e dare un futuro alle ragazze. Ora è in Olanda con un contratto di un anno al Centro tecnico per la cooperazione agricola e rurale, un’istituzione della UE attiva anche in Africa. Si occupa di linee politiche, mercati, tecnologie informatiche e comunicazione, e lontana da casa soffre un po’. Ama la natura, gli scacchi e la storia, ma se le chiedi di cosa non potrebbe mai fare a meno, risponde: «Il mio telefono, ovviamente!».
Fonte: www.marieclaire.it