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Le terre usurpate dell’Africa povera

29 Nov

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Il «land grabbing» e il ruolo dell’Occidente. L’offensiva
cinese. Il caso Mozambico: sfruttamento e cooperazione

La crisi finanziaria e alimentare del 2007-2008, e il conseguente aumento e volatilità del prezzo del cibo, hanno accelerato la corsa alla terra come bene rifugio per grandi capitali privati in cerca di investimenti sicuri, mezzo per garantire la sicurezza alimentare di Paesi ricchi di liquidità ma poveri di risorse, strumento di influenza geo-politica a livello locale e internazionale. Tanto che gli investimenti in terra arabile promossi nell’anno fiscale 2012 dalla sola Banca Mondiale hanno superato i 9 miliardi di dollari. La terra in questione è quella dei Paesi più poveri o in via di sviluppo, soprattutto africani, i cui Governi, favorendo l’affluire di enormi capitali in entrata (attraverso investimenti privati e cooperazione internazionale), beneficiano di un posizionamento più favorevole nello scacchiere internazionale, consolidando così il ruolo dei vari leader al potere – senza che questi riescano mai neanche ad alleviare i problemi che sono chiamati a risolvere.

MERCATO FERTILE – Il mercato della terra è fertile, e gli investitori non sono più soltanto le multinazionali del cosiddetto Nord del mondo. I Paesi del Golfo Arabo e le economie emergenti come Cina, Brasile o Sud Africa, ad esempio, giocano un ruolo sempre più preponderante, anche in nome di una cooperazione Sud-Sud dai tratti a volte ambigui. Per descrivere il fenomeno delle grandi acquisizioni su larga scala, la Banca Mondiale parla di «crescente interesse verso la terra» e promuove prospettive di crescita occupazionale e sicurezza alimentare. Contadini locali, associazioni e organizzazioni internazionali (come Oxfam, che recentemente ha rilanciato la sua campagna, o Slowfood che, oltre a una campagna, ha avviato diversi progetti in Africa sull’uso responsabile della terra, l’ultimo in Mozambico), denunciano invece il land grabbing, letteralmente «usurpazione della terra», un fenomeno che porta con sé lo sfollamento delle popolazioni rurali, la loro difficoltà o impossibilità di accedere a risorse primarie quali cibo e acqua, oltre a disequilibri sociali, economici e ambientali.

CONFLITTI – Non tutte le acquisizioni di terra sono sinonimo di usurpazione. Tuttavia, come dimostrano diversi casi di studio riportati sempre dalla Banca Mondiale, troppo spesso si concretizzano nell’incapacità – da parte dei governi dei Paesi destinatari – di riconoscere tutelare e compensare i diritti terrieri delle comunità locali; l’incapacità di gestire i grandi investimenti, anche attraverso consultazioni realmente partecipative che scaturiscano in accordi chiari e attuabili; l’incapacità di elaborare proposte di investimento tecnicamente praticabili che non siano in contrasto con la visione locale e i piani di sviluppo nazionali; e il conseguente insorgere di conflitti – specie di genere – legati alla distribuzione e all’accessibilità delle risorse.

MOZAMBICO – In Mozambico la terra non si vende, si dà in concessione. E il prezzo può scendere fino a 1 dollaro l’ettaro. All’anno. Le concessioni arrivano fino a 99 anni, e sono rinnovabili. In Mozambico la terra è praticamente gratis. Oltre che fertile e abbondante: 36 milioni di ettari di superficie arabile, secondo il Ministero dell’Agricoltura, di cui solo il 10% coltivato – sebbene, come concordano diversi esperti, solo di rado la terra è effettivamente inutilizzata e disponibile così come viene definita nei freddi report istituzionali piuttosto che nelle ammiccanti presentazioni delle aziende private, e la sua acquisizione su larga scala comporta sempre dei costi, siano essi ambientali o sociali. Land Matrix (un’iniziativa di monitoraggio promossa dalla International Land Coalition) finora ha tracciato 117 acquisizioni di terra nel Paese. I dati a disposizione relativi a 77 di queste (solo il 66%) parlano di un’estensione pari a oltre 2,4 milioni di ettari contrattualizzati. Per farvi un’idea, è come se il Mozambico avesse dato in concessione un’area estesa almeno quanto la Toscana. Un’idea approssimativa, naturalmente, perché nessuna raccolta dati può avere pretesa di esaustività in un ambito così controverso, in cui la condotta degli attori coinvolti è spesso opaca e poco è dato sapere dei processi di affidamento e gestione delle terre in cui dovrebbero svilupparsi i progetti. «È difficile poter affermare con certezza assoluta che una transazione sia realmente avvenuta, per quale superficie, quale durata e quale uso», confermano i ricercatori di Land Matrix.

Fonte: Corriere.it

 
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Pubblicato da su 29 novembre 2013 in Uncategorized

 

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