«Sono partito perché affascinato da una terra dove la medicina è figlia più delle intuizioni che dei mezzi, per vedere con i miei occhi quello che avevo sentito dalla sola voce di altri, perché la salute è un diritto di tutti e desideravo rendermi conto di come funziona in Africa. Cos’ho imparato? A destreggiarmi e curare nonostante le limitazioni e i pochi farmaci a disposizione, a fare amicizia con persone che erano molto più che pazienti, erano bambini, uomini e donne con un nome e un cognome». Daniel Nardo, giovane medico padovano specializzando in pediatria, per sei mesi ha fatto la sua parte: impiegato nell’ospedale centrale di Beira, nel cuore del Mozambico, a rotazione è stato infettivologo infantile, patologo neonatale, pediatra generale, esperto di malnutrizione, medico di pronto soccorso. Perché indossare il camice bianco in certe zone dell’Africa significa armarsi di buona volontà servendosi di quel che c’è. Ovvero poco, o niente. «Le sale d’attesa sono corridoi all’aperto dove i pazienti aspettano seduti su stuoie, e non si lamentano; le culle termiche sono scaldate da stufe, i reparti fatiscenti. Ma è stata una grande, meravigliosa esperienza professionale e umana». E anche il camice bianco è un eufemismo, visto che il rispetto non dipende da simboli o apparenze ma da quello che si fa e da come si fa.
Il progetto
Daniel è uno dei 16 specializzandi in Pediatria che hanno trascorso un periodo di formazione nel continente nero grazie a un protocollo d’intesa sottoscritto tra Medici con l’Africa Cuamm diretto da don Dante Carraro e l’Università di Padova: la sua esperienza, intrisa di emozioni, sensazioni, sfide, ha un’etichetta particolare. Si chiama “Junior project officer” (Jpo), una sorta di master concepito e promosso dal Cuamm, che è la prima organizzazione non governativa sanitaria italiana attiva da 64 anni in Africa, a livello nazionale e fatta propria, per Padova, dalla Scuola di specializzazione in Pediatria. Il Jpo permette di svolgere fino a sei mesi di specialità in Africa a quanti siano interessati (specializzandi del quarto e quinto anno) ad approfondire le proprie competenze e abilità. Un’esperienza, per quel che riguarda la Pediatria di Padova, ora pubblicata sulla rivista The Italian Journal of Pediatrics e che a settembre 2014 sarà al centro del workshop sul Jpo, che si terrà al Chapel Hill, in North Caroline, promosso dall’American board of pediatrics, a testimonianza della risonanza internazionale che il lavoro ha suscitato. Attualmente il Cuamm è presente in Angola, Etiopia, Mozambico, Sud Sudan, Uganda, Sierra Leone e Tanzania. «Riempie il cuore di gioia conoscere l’esperienza degli specializzandi che, grazie al protocollo d’intesa tra l’Università di Padova e Medici con l’Africa Cuamm, hanno avuto modo di operare in Africa, in terre dove il bisogno di medici, di persone di buona volontà capaci di dare una mano, è sempre altissimo – commenta il rettore dell’Università di Padova, Giuseppe Zaccaria -. Proprio la solidarietà è uno dei temi centrali per il nostro Ateneo: la grandezza di un’università non si misura soltanto in termini di pubblicazioni scientifiche o di attività didattica, ma anche nella capacità di essere presente là dove i diritti fondamentali sono calpestati e nasce quindi un dover etico di intervento e di cooperazione. Dal carcere Due Palazzi al Mozambico, dall’Etiopia al Sudan o al Sudamerica, dovunque c’è sofferenza sociale e mancano mezzi, strutture o medici l’Università c’è, e vuole continuare ad esserci sempre di più».
Un’opportunità
«Tra il 2006 e il 2013 sono 16 gli specializzandi che hanno preso parte a Jpo: tutti per sei mesi, uno dopo l’altro senza alcuna interruzione temporale, hanno frequentato gli ospedali di Wolisso in Etiopia e di Beira in Mozambico. Tutti – sottolinea Liviana Da Dalt, vicedirettore della Scuola di specializzazione in Pediatria di Padova e promotrice del Jpo assieme a don Dante – hanno lavorato nei reparti di pediatria dei due ospedali, sette in ambulatori dedicati ai piccoli pazienti denutriti o affetti da Aids; sei hanno lavorato anche in pronto soccorso e alcuni in centri di salute localizzati in sede rurali. Tutti hanno completato con successo il loro periodo di formazione; la valutazione ricevuta e i feedback riportati sono stati di estrema soddisfazione. Certamente molto di più si può e forse si deve fare – aggiunge la Da Dalt -, ma l’obiettivo che ci eravamo inizialmente proposti nel concepire e attuare questo progetto, ossia quello di creare nei medici in formazione un cultura aperta ai temi di salute globale fornendo loro un’opportunità di lavorare fianco a fianco con medici che operano in Paesi in via di sviluppo, ci sembra per gran parte raggiunto». Per don Dante Carraro, direttore di Medici con l’Africa Cuamm, il Jpo è un’esperienza preziosa perché «porge un’occasione e offre un’opportunità. Un’occasione per imparare insegnando, per sviluppare progetti di ricerca operativi in ambito clinico e organizzativo, un’opportunità per acquisire un approccio globale alla salute e supportare una Ong. La crescita personale dell’esperienza Jpo è racchiusa nel toccare con mano realtà sociali economico culturali diverse, nel mettersi in gioco in un contesto nuovo. E può servire a selezionare medici per un impegno futuro nell’ambito della cooperazione internazionale».
Fonte: Corriere.it